Magic: the Gathering Wiki
Advertisement

Daghatar era un guerriero di Tarkir, Khan degli Abzan nel periodo dello scontro tra Ugin e Nicol Bolas.

L'irremovibile[]

Daghatar si affida a un'attenta strategia per raggiungere i suoi obiettivi. Analizza di continuo ciò che lo circonda, una caratteristica che può farlo sembrare distaccato. Cavalca uno stambecco nero ed è rivestito da un'elaborata armatura creata con scaglie di drago. Possiede una gigantesca mazza e all'interno della testa di essa, ricavata dall'ambra è imprigionato uno spirito malvagio.

Nessun inizio, nessuna fine[]

Daghatar sedeva a capo di una lunga tavola di marmo, ogni sedia era occupata; venti membri tra i più intelligenti e saggi del clan avrebbero espresso la loro opinione prima di lui; secondo la tradizione ripristinata dal Khan Burak, Daghatar non avrebbe parlato prima di aver ascoltato tutti i consiglieri; si sarebbe espresso per ultimo e la sua opinione avrebbe portato alla decisione finale. Conoscendo la procedura i consiglieri discussero per due ore e il Khan osservò sfinito ma attento la diatriba che infuriava di fronte a lui: Reyhan comandante militare di tre casate parlò della sconfitta di cinque draghi negli ultimi sei mesi, tra cui anche Korolar e che nella loro lotta contro la progenie di Dromoka subivano perdite ma potevano anche uscirne vittoriosi. Merel, lo zio di Daghatar che aveva rifiutato il titolo di Khan quando era giovane, iniziò ad applaudire ironicamente e disse che si trattava di una notevole vittoria e un imponente banchetto, poi chiese quanti draghi fossero venuti alla luce dalle tempeste e si rispose da solo che i suoi esploratori ne avevano avvistati sedici, che Dromoka si trovava a solo quaranta chilometri da lì, evocando un numero di draghi sempre maggiore grazie alle tempeste, che lei non aveva la semplice obbedienza degli altri draghi ma un esercito. Continuò dicendo che non pensava di dover ricordare a nessuno cosa fosse successo quando l'avevano affrontata direttamente. Disse a Reyhan che era una maestra della guerra e chiese di illuminarlo sul motivo per cui le sorti della guerra si sarebbero risolte a loro favore. Daghatar aveva nutrito la speranza che i comandanti degli Abzan avrebbero potuto fornire una saggezza collettiva in grado di offrire un cammino che lui non aveva ancora elaborato ma al contrario stavano solo dimostrando le sue più grandi paure. Reyhan disse a Merel, chiamandolo vecchio, che le sue parole contenevano molte critiche ma non offrivano nessuna soluzione e che nessuno di loro aveva presentato un piano migliore della resistenza, la sua soluzione era semplice: chiamare alle armi tutti gli uomini e le donne in grado di combattere, evocare tutti i progenitori disposti ad ascoltarli e andare ad abbattere il cuore della covata; abbattendo Dromoka la sua progenie si sarebbe dispersa. Con gli occhi che risplendevano dal rimorso, Merel rispose sussurrando che lei non era stata presente e non aveva visto cosa aveva fatto Dromoka, che avevano perso più di mille soldati e non erano riusciti nemmeno a farle un graffio e che la sua proposta avrebbe significato la fine degli Abzan. Il silenzio piombò sulla sala, il viso di Reyhan si addolcì chinò il capo e disse al suo vecchio amico che non aveva sentito nulla che non portava a quella conclusione, cercava di offrire un frammento di speranza o, se non avessero avuto successo, una fine di cui potevano essere fieri. Nessuno rispose, Daghatar si alzò e tutti si raddrizzarono, il Khan disse che aveva ascoltato i loro saggi consigli e li ringraziava, che da una parte si ritrovavano ad affrontare una guerra che non li vedeva favoriti e dall'altra un assedio la cui probabilità di sopravvivenza erano ridotte. Continuò che non voleva minimizzare il fatto che potevano avere di fronte la fine degli Abzan e quindi non voleva agire frettolosamente e consultare i progenitori prima di agire, terminò che qualsiasi decisione fosse stata presa lui sarebbe rimasto con loro fino alla fine. Poi li congedò.

Daghatar si ritirò nella sua camera, nonostante fosse un uomo ricco proveniente da una famiglia potente la stanza che non era costretto a condividere con altri era molto semplice. Nessun servitore o visitatore era mai entrato al suo interno, ciò era considerata una stranezza in un popolo che si vantava della propria socievolezza, ma lui era il Khan e aveva diritto ad alcuni comportamenti eccentrici. Nonostante ciò non era completamente solo; Il Ricordo era con lui all'interno della sua mazza, un'arma conservata da ogni Khan degli Abzan, se Daghatar avesse saputo a cosa sarebbe andato incontro non avrebbe mai accettato il titolo di Khan. L'ambra vorticò e pulsò di una luce liquida, Daghatar esitò poi strinse la mano sull'impugnatura e sentì la voce dello spirito chiamarlo codardo e dirgli che li aveva evitati per poi chiedergli se avesse un timore così grande dei suoi doveri. Daghatar sollevò con rispetto la mazza e depose la testa d'ambra nella mano sinistra, si sedette e cercò di non far trasparire la stanchezza e il rancore nella sua voce; rispose che temeva ciò che sarebbe potuto succedere se non avesse svolto i suoi doveri e che si era accontentato dei saggi consigli dei vivi. Il Ricordo rispose che era timoroso di ciò che poteva perdere, che si faceva sfuggire le sue responsabilità e che i suoi doveri andavano oltre una semplice vita o anche a diecimila vite; i suoi doveri erano legati a ogni Abzan che avrebbe messo piede su quelle terre. Il Khan chiuse gli occhi e disse che con il futuro che li aspettava non si sarebbe trattato di un numero molto alto e lo spirito si fece sentire con un'ondata di disprezzo e rispose che solo se lui avesse fallito sarebbe andata così. Poi chiese se avesse già abbracciato l'idea della sconfitta e se gli avrebbe dato conforto al momento della sua morte il pensiero che aveva portato allo sterminio il suo popolo solo perché il cammino era difficile. Daghatar disse che era disposto ad accettare i suoi maltrattamenti in cambio del suo consiglio: gli Abzan avevano due possibilità e nessuna di esse sembrava poter avere successo. Spiegò che Dromoka e la sua covata non erano come gli altri draghi, erano potenti ma si proteggevano a vicenda, agivano in gruppo ed erano abituati all'avversità del deserto. Continuò che erano in guerra con un nemico che era più forte di loro proprio negli stessi punti di forza del clan, potevano agire come avevano sempre fatto ma i draghi aumentavano in numero e forza e le loro provviste non sarebbero durate per sempre, in alternativa potevano colpire Dromoka e con la sua morte sperare che la sua covata se ne andasse verso altre regioni ma tuttavia si chiedeva se questo fosse sufficiente poichè aveva sentito da altri Khan che non ci fosse un luogo su Tarkir privo delle tempeste draconiche ed era sicuro che anche se avessero respinto una covata, un'altra ne avrebbe semplicemente preso il posto; concluse che non sapeva se esistesse una terza possibilità e chiese cosa gli consigliava di fare. Il Ricordo rimase un attimo in silenzio, poi disse che ricordava ancora la prima crisi che gli aveva presentato, in realtà un problema futile: una pattuglia Abzan era stata catturata dai Sultai e lui voleva mettere insieme una spedizione di recupero, ma nel momento in cui gli aveva fatto capire la verità, si era messo a piangere perchè aveva compreso che per un Khan la sfida più difficile era accettare una sconfitta per poi sopravvivere e vincere quella successiva. Se quella volta avesse inviato una spedizione avrebbe perso il quintuplo delle truppe, mentre aspettando la stagione successiva aveva punito i Sultai e riportato a casa gli spiriti dei caduti. Il Ricordo continuò dicendo che quello significava essere un Abzan: accettare una sconfitta senza perdere la propria forza; disse che poteva farcela nuovamente e che la forza degli Abzan era sufficiente per abbattere quella bestia, che non sarebbe importato quanti soldati avesse perso perché avrebbe garantito un futuro ai sopravvissuti. Lo chiamò col suo titolo e chiese se era pronto a compiere tutte le azioni necessarie, Daghatar soppesò a lungo le sue parole poi rispose di si. 

Insieme ai suoi guerrieri Daghatar si avvicinò verso il luogo dell'incontro, la zona della prima battaglia contro Dromoka dove la sua gente era caduta. Osservò che il tempo e il deserto avevano cancellato ogni traccia dei morti, nonostante ciò era un luogo sacro e di grande importanza. Il Khan vide un gruppo di persone che li stavano aspettando, la maggior parte di loro erano vestiti da Abzan ma senza simboli di casate, delegati che si inchinarono in segno di saluto e Daghatar restituì il gesto. Uno di loro parlò e disse che in nome dell'eterna gli davano il benvenuto e che lui era Sohemus, Il Khan rispose che gli stavano dando il benvenuto nelle sua terra ma che viste le circostanze lo accettava, tuttavia non si trovava lì per parlare con loro e chiese dove fosse il loro comandante. Sohemus si inchinò ancora più profondamente e disse che si sarebbe presentata quando avrebbe voluto farlo e che nel frattempo gli avrebbe spiegato il protocollo da seguire: quando le avrebbe parlato avrebbe dovuto guardarla in volto, l'eterna avrebbe parlato solo nella lingua draconica e lui avrebbe tradotto le sue parole ma non doveva guardarlo ne rivolgergli la parola. Daghatar annuì e chiese se ci fosse altro e il traduttore disse che gli ricordava che lei non aveva concesso alcuna tregua per quell'incontro e che visto le accuse nei confronti del suo popolo non potevano garantire la sua sicurezza. Il cuore di Daghatar batté più velocemente e la rabbia si impadronì di lui, chiese di cosa fossero accusati e Sohemus rispose che non spettava a lui parlarne e poi con uno strano sorriso sul volto disse che lei era arrivata. Dromoka atterrò davanti a loro e il Khan si fece avanti e si inchinò e lei in risposta abbassò leggermente il capo, poi parlò e il traduttore disse che concedeva quella udienza sebbene non comprendesse cosa sperava di ottenere. Daghatar mantenne lo sguardo su di lei, si sentì come se stesse comunicando con una fortezza, disse che era giunto lì per porre fine alle ostilità tra gli Abzan e la sua progenie. Il drago emise un suono e il Khan impiegò un po' a capire che si trattava di una risata, poi Sohemus tradusse che ciò che chiedeva era impossibile dal momento che la sua tribù di necromanti era un macchia sulle sue terre che lei non poteva tollerare. Daghatar era confuso e disse che lei parlava dei Sultai e che loro non avevano mai praticato le loro arti nauseanti, Dromoka abbassò la sua enorme testa per guardare il Khan negli occhi, la sua espressione appariva curiosa, Sohemus tradusse che loro obbligavano i loro morti a servirli e quella era necromanzia, che aveva portato uno spirito oscuro alla sua presenza e osava negarlo, tuttavia sembrava sincero e chiese di spiegargli quella contraddizione. Daghatar guardò verso Il Ricordo e disse che lei aveva frainteso, che quegli spiriti erano i loro onorati progenitori, che la loro saggezza li guidava e che quella era la loro tradizione, il loro modo di vivere, lei lo interruppe con parole draconiche che a lui sembrarono un ruggito, Sohemus ci impiegò un po', poi tradusse che i vivi servivano i vivi mentre i morti non erano più al loro fianco. Quello era il corso della natura e lei era tutt'altro che a favore di coloro che la pensavano diversamente, voleva che sapesse che aveva studiato a lungo il suo popolo e che aveva trovato molti punti che rispettava: il fatto che si aiutassero l'un l'altro con audacia e che insieme erano più forti, la loro comprensione del sacrificio e della forza, la loro tradizione dei Krumar così simile a ciò che aveva fatto lei con gli umani che le avevano giurato fedeltà. Tuttavia finché il suo popolo si fosse continuato a macchiare con l'uso della necromanzia, lei e la sua progenie avrebbero continuato fino a sterminarli dal deserto. Daghatar osservò a lungo gli occhi del drago, nella sua mente Il Ricordo gli disse di non perdere quell'occasione e di evocarlo in modo da abbattere la sua nemica; il Khan si raddrizzò e fece un passo avanti e disse che i loro progenitori li avevano guidati per secoli e che voleva condividere con lei il consiglio più vero che gli avessero mai dato, lui aveva la responsabilità della vita di tutti i loro discendenti e per essere Abzan bisognava subire una sconfitta mantenendo salda la loro forza e che quindi dovevano compiere tutte le azioni necessarie anche se difficili o impensabili. Si avvicinò a lei senza paura, Dromoka non si mosse e non reagì in alcun modo, Daghatar sollevò la mazza chiese di perdonarlo e colpì la roccia sotto i propri piedi con la testa della mazza, la voce del Ricordo esplose in migliaia di urla di agonia e rabbia, lui colpì nuovamente finchè l'arma non si frantumò lasciando solo migliaia di frammenti scintillanti e il silenzio, i progenitori non c'erano più. Daghatar chiamò Merel e disse di mandare un messaggero a ogni casata e di comunicare loro che dovevano sradicare ogni Albero Atavico e che da quel giorno la necromanzia era proibita, spostò lo sguardo verso Dromoka e disse che confidava che quello fosse sufficiente e il drago annuì. Suo zio gli disse che intere casate si sarebbero ribellate, che stava parlando di voltare le spalle a tutte le loro tradizioni e che la distruzione dei loro progenitori avrebbe significato la guerra civile. Daghatar disse di si, ma che ci sarebbe anche stato un futuro per coloro che sarebbero sopravvissuti. Osservò i frammenti del Ricordo che venivano trasportati via dal vento per poi mescolarsi alla sabbia, dopo pochi minuti erano già scomparsi completamente.

La caduta dei Khan[]

Dopo che Daghatar si era piegato al servizio di Dromoka aveva rinunciato al suo titolo abdicando a favore del drago dominante e aveva portato la maggior parte del clan con sé nella sua scelta, ma un decimo del suo popolo si era rifiutato di seguirlo e aveva eletto Reyhan nuovo Khan continuando a resistere e a seguire le antiche tradizioni.

Dopo l'incontro dei cinque Khan alla Fortezza di Dirgur, Daghatar ricevette una lettera da parte di Yasova, il Khan dei Temur, che pensava dovesse sapere che Reyhan era morta durante l'attacco delle covate unite di Silumgar e Ojutai per salvare la vita di due Khan: la sua e quella di Alesha, il Khan dei Mardu. Una voce nella sua testa simile al Ricordo disse che sarebbe dovuto essere lui a morire, ma lo spirito non esisteva più, ciò che l'ex-Khan sentiva era la sua voce, il suo senso di colpa. Daghatar appoggiò la lettera sul tavolo e chiamò Beril un soldato Ainok e disse di inviare un messaggio al signore dei draghi e dal momento che sia Abzan che Khan erano diventate "parole dimenticate" da non pronunciare più, scrisse il suo messaggio usando degli eufemismi diventati per lui familiari. Daghatar disse al soldato che aveva ricevuto la notizia della morte del condottiero della resistenza, sospirò pesantemente, e continuò che se si fossero mossi ora potevano costringere la resistenza ad arrendersi o sconfiggerla completamente. Beril sostenne il suo sguardo per un attimo, era stata tra le sue forze per molto tempo e aveva la percezione delle sue sensazioni relative agli ordini che impartiva, poi andò a eseguire gli ordini. Rimasto solo, Daghatar prese nuovamente la lettera e ne appoggiò un angolo alla fiamma tremolante della lampada a olio e la osservò ridursi in cenere, pronunciò silenziosamente una preghiera ora proibita, una che un tempo aveva recitato a voce alta udita da interi reggimenti: una preghiera per i caduti; una semplece espressione di speranza che le loro anime potessero trovare un luogo per riposare in pace. Subito dopo però si chiese se l'anima di Reyhan avesse un luogo tranquillo in cui riposare.

Referenze[]

Rappresentato in[]

  • Daghatar l'Irremovibile

Testi di colore[]

  • Dromoka, l'Eterna
  • Radunare gli Antenati
  • Vantaggio Abzan
Advertisement